Ansia a manetta.
E' da giorni che sono su un'altalena emotiva. Più precisamente sulle montagne russe. Ed oggi ho l'ansia che neppure Pindaro.
Le cause? Inutile andarle a cercare... sono mille e nessuna. E' questa vita che è davvero un pot pourri di casini ed io la ciotola che li contiene.
Da ultimo l'aver mangiato della pasta frolla mentre preparavo la crostata.
Bah.
L'altra sera mentre smanettavo sul cellulare anziché i soliti video di Shiba, gatti e bambini buffi, mi sono saltati fuori psichiatri, pedagoghi, psicologhi. Non so Google che cosa mi abbia sentito dire o con chi mi abbia sentito parlare... fatto sta che ha pensato bene di propormi questi contributi.
Grazie; ne avrei fatto a meno.
Tuttavia uno mi ha fatto riflettere: parlava di un uomo che per tutta la propria adolescenza si era finto malato (non sempre ma periodicamente) perché aveva sperimentato che era l'unica condizione in cui poteva essere fallibile. In quei momenti poteva sbagliare. Poteva non essere più perfetto.
Ci ho pensato su. E se fosse questo il motivo per cui io per tutta la vita ho lottato con i DCA?
Me li sono creati io, alla fine. Mica è un problema che si prende come il raffreddore o come un...tumore.
Mi era già capitato di soffermarmi sulla genesi di questo disturbo tanti anni fa, in uno degli innumerevoli tentativi di risolverlo ed era venuto fuori dapprima che poteva essere un modo per darsi una identità "certa e definita" (io sono malata) in un momento della mia vita in cui non sapevo più chi ero, essendo appena uscita da anni di malattia (vera) capitatami in una fase della vita di una persona (l'adolescenza) in cui si inizia a costruire la propria identità e la propria persona/personalità.
In un secondo momento, mi era parso che la malattia poteva essere il modo più semplice, la strada più breve (anche se dolorosa) per essere amati. Quando si è malati tutti ti vogliono bene: sei vulnerabile, sei un po' perdente, non sei certamente un avversario temibile, fai un po' compassione ed è più semplice volere bene a chi è più in basso di te. A chi sta peggio. Più difficile è amare chi ha successo e vive a vele spiegate.
E così, dopo aver sperimentato questo sentimento da parte degli altri nei miei confronti durante la mia "prima vera" malattia, una volta che questa era terminata mi ero ritrovata senza giustificazioni. Senza più un motivo per essere amata. E mi sono creata un buon motivo: il DCA.
Oggi però inizio a pensare che possa un altro, il motivo.
E questo sarebbe anche la ragione per cui io affronto questa "nuova vera" malattia quasi come una benedizione.
Finalmente, grazie a lei, ho potuto lasciare per sempre il mio odiatissimo lavoro senza essere colpevolizzata. Senza essere giudicata negativamente ma anzi giustificata e compresa.
Grazie a lei non ho più quel fardello di responsabilità e ansia che mi dava fare l'avvocato.
Grazie a lei posso essere stanca. Grazie a lei posso dire di no.
Proprio come quel ragazzo: se sono malata posso essere fallibile. Imperfetta.
Posso essere me stessa.
Forse è questa la chiave.
O forse lo sono tutte e tre perché nulla è mai semplice. Tantomeno ciò che riguarda la psiche.
Dicono che la consapevolezza sia il primo passo verso la guarigione.
Sarà.
Intanto l'ansia resta. Per un pezzo di pane. Per un giro d'olio in più. Per un pezzo di pasta frolla mangiato velocemente e di nascosto (da chi? da me stessa) ...
Ma anche questa sono io. E prima o poi arriverà il momento in cui imparerò ad accettarmi.
(Nel senso di accettazione, eh! ... non si sà mai).
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