Non volevo scrivere ma poi ho pensato che era meglio farlo per tirar fuori tutto il malessere che mi serpeggia dentro da giorni.
Sono un'ingrata e mi vergogno anche soltanto a pensarlo ma è inutile far finta di nulla.
Le buone notizie che da qualche giorno ho avuto con riguardo all'andamento della mia malattia e, quindi, dell'efficacia della chemio, mi hanno spaventata e ... sì. Assurdo dirlo. Demoralizzata.
Io non ne posso più.
Io non voglio che 'sta maledetta roba si allunghi e duri tutta la vita. Io non voglio annacquare questa mia situazione e vivere in questo modo (sempre all'erta, sempre a fare esami e visite, sempre in terapia, sempre con gli effetti collaterali che diventano sempre più fastidiosi, sempre a non fare nulla di costruttivo ma a tirare avanti...) a lungo.
Io sono stufa.
Mi sento inutile.
Mi sento un essere che vive per curarsi. Non il contrario.
Ma che senso ha?
Le "buone" notizie mi hanno fatto piacere unicamente per i miei genitori e per i miei figli (anche se per questi ultimi a volte mi chiedo sino a quanto? Forse crescerebbero meglio senza una mamma come me, ansiosa e ingombrante).
E' come con una medicina amara. Preferisco una cucchiaiata amara tutta in una volta che diluirla un bicchiere colmo d'acqua per sentirla meno amara. Tanto fa sempre schifo ma almeno te la levi di mezzo più in fretta.
Sono stanca di essere così.
Sono stanca.
Le mie giornate sono inutili. Io sono un soggetto inutile.
La mia vita ultimamente è un susseguirsi di giornate per trovare la medicina giusta per arrivare al giorno dopo. Ma che senso ha?
A parte l'amore dei miei genitori e il dolore che darei loro se non ci fossi più, mi chiedo a che servo?
Non sto scherzando. E non mi sto compatendo. Sto osservando la mia vita in modo oggettivo.
Non lavoro "davvero". Gestisco degli appartamenti per uso turistico (ullalà) e chiunque potrebbe sostituirsi a me senza alcuna conseguenza.
Non mi alzo la mattina per aiutare il prossimo o per fare qualcosa di utile al mondo... ma unicamente per portare fuori il cane, rassettare casa e per fare la spesa. Punto.
E a capo.
Tutti i giorni così. E non sarei in grado di fare di più perché sono una lattina vuota.
Le mie settimane sono scandite dagli esami, dalle medicazioni, dalle terapie...
Al tempo stesso La sensazione che mi da il pensiero di stare in mezzo alla gente mi fa temere di essere sociopatica.
Mi fa paura stare con gli altri; mi fa paura mangiare (con gli altri soprattutto ma in genere per stare serena dovrei digiunare); mi fa paura condividere a lungo del tempo con altri; mi stanca stare al telefono e parlare. Vorrei rinchiudermi dentro un bozzolo e aspettare che finisca tutto.
Uno strappo e zac. Basta. Fine. Come facevo per tirar via i destini da latte quando ero piccola. Li legavo con un filo e poi chiedevo a qualcuno di tirarlo improvvisamente. Rapido.
Questo è uno stillicidio.
Sto bestemmiando, lo so, ma spesso ho sperato che questa fosse la volta buona per "andarmene" in poco tempo. Ho paura di soffrire. Ma se fosse per un breve tempo...
Non ne ho voglia.
Non ho più entusiasmo vero per le cose. Sto bene soltanto quando stramazzo al suolo dopo un allenamento. E' l'unico momento in cui sono davvero felice e, udite udite, soddisfatta di me. Ma dura quel che dura.
Non sono depressa, me ne accorgerei. Sono solo assuefatta al nulla che è la mia vita.
Forse davvero "il lavoro nobilita l'uomo": ed io mi sento una spettatrice di un film interpretat
o da altri.
Non m i sento un esempio per i miei figli. Quando mi chiedono che lavoro faccio vorrei sotterrarmi.
Mi sento sempre una bambina piccola e inutile. Che si aggrappa alla sua malattia per giustificare una vita vuota e senza senso. Ed è per questo che vorrei che potesse terminare velocemente. Senza dolore ma in fretta.
Che senso ha continuare a vivere per curarsi?
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