Venerdì mi levano via l'ultimo baluardo visibile dietro al quale potevo trincerarmi agli occhi dei più per manifestare, senza le parole, la mia condizione di malata.
Senza questo, ossia il mio PICC, sono ormai senza difese.
Anche la malattia deve apparire. Deve vedersi. Altrimenti stai bene.
Prima è stata la perdita dei capelli dovuta al Taxolo. Ma con la nuova chemioterapia, il Caelyx (peraltro anche più forte), l'alopecia non era più uno degli effetti collaterali. Mi restava però il PICC, coperto dalla mia fascetta nera... ma sempre visibile.
Adesso con la nuova chemio che inizierò a breve, la c.d. metronomica che consiste in un mix di farmaci per bocca da assumere quotidianamente, non avrò più bisogno neanche del PICC.
E il PICC è un qualcosa di impattante. A volte mi basta soltanto abbassare un pò la mia fascetta e vedo visi voltarsi altrove frasi del tipo "mammamia, copri copri!".
Ma a me non da fastidio; davvero, neppure un po'. Il PICC non fa assolutamente male e mi dimentico anche di averlo.
Ma si vede e mi da un certo status. Le analisi epatiche e renali che dovrò necessariamente fare in più a causa di questa nuova terapia non si vedono. Non le puoi esibire. Lo so soltanto io e i pochi al corrente... (alcuni dei quali se ne dimenticano molto velocemente).
Quindi cosa resterà di visibile della mia condizione?
Nulla.
Ed ho paura... perché io tendo sempre a minimizzare ciò che mi sta accadendo perché non voglio che le persone si preoccupino però, al tempo stesso, come più volte ho scritto, questa condizione di malata mi protegge dal mondo, dalla vita "normale", dalle "persone" e dalla quotidianità.
Nessuno crederà più alla mia stanchezza o al mio dolore quando lo "utilizzerò" per rinchiudermi in me stessa: in fin dei conti starò semplicemente assumendo delle pastiglie...
L'ago e la flebo fanno più impressione.
Eh, già.
Ma non sarò troppo allegra?
A volte mi capita di rileggermi e mi dico: ma come fa il mondo a sopportami ancora?
Basta non darlo troppo a vedere... e scaricare tutto il peggio di me in questo blog che, peraltro, ha perso anche la sua vera mission, ossia sollevare e alleviare il dolore infornando pasticcini. Mi chiedo perchè lo tengo ancora pubblico. E' diventato più un angolino buio della mia vita. Un piccolo ecocentro dove gettare tutti i rifiuti che mi tengo dentro.
Il fatto è che chiudere questo blog è un po' come se chiudessi definitivamente il mio unico e sottile filo che mi collega ancora in modo onesto e vero col mondo esterno. la porta socchiusa che qualcuno potrebbe spingere per vedere chi c'è dietro veramente.
E' il mio messaggio nella bottiglia lanciato in mare con la speranza che prima o poi una persona lo raccolga e mi salvi.
Ma consentirei mai a qualcuno di guardarmi realmente oltre quella porta? autorizzerei mai qualcuno a tirare il filo e di arrivare alla vera me? Mi lascerei salvare?
Credo proprio di no.
Ecco, in questo istante mi è arrivato un messaggio su whatsapp: una vecchia conoscenza qui in vacanza vorrebbe incontrami... e mi chiede dove e quando.
Ho già il panico. E non risponderò. Lo lascerò non visualizzato per giorni e giorni, sino almeno agli inizi del prossimo mese, ossia sino a quando spero che il pericolo sia passato e che la persona in questione sia rientrata dalle ferie estive.
E mi scuserò. Mi nasconderò dietro la mia stanchezza e i miei impegni che, sì certo, sono veri, ma non mi impedirebbero, se lo volessi davvero, di uscire e trovare il tempo per un caffè. Ma non voglio.
Non voglio vedere e, soprattutto, farmi vedere e parlare con alcuno.
Il senso di colpa mi divorerà per qualche giorno. Avrò il terrore di incontrare questa persona e, pertanto, eviterò come la peste quei luoghi che penso possano essere comuni. Non sarà difficile visto che non esco mai (se non la mattina prestissimo col cane e poi a fare la spesa) ma avrò timore ed ansia perché non voglio che quella persona pensi che non la voglio vedere.
Non c'è nulla in quella persona, e in tutte le altre mille persone, che non va.
Il problema sono io.
Ma non ho voglia di sforzarmi.
Faccio per quasi tutto il giorno cose che non vorrei fare ma che sono indefettibili. O almeno io le vivo come un diktat interno che se disatteso mi porta soltanto angoscia e smarrimento.
Mi resta però il lusso di decidere chi vedere.
E la mia ansia sociale mi impone di restare dietro al vetro della finestra a guardare gli altri vivere.
Il poeta W. Stevens scrisse "non è sempre facile distinguere tra pensare e guardare fuori dalla finestra".
Io spero che prima o poi tutto passi. Quale che sia il modo. Purché passi.
Ciao
RispondiEliminaCiao, Annina sei tu?
EliminaSi sono io, almeno so che si possono fare commenti.
RispondiEliminaContinua a scrivere, noi ti leggiamo con piacere.Sempre.❤