Scrivo a tarda sera... dopo uno spritz a stomaco vuoto.
Ciò che penso, quindi, è amplificato dal tasso alcolico (soprattutto perché non reggo nulla) e con addosso una stanchezza greve e molesta che non mi fa certo vedere il bicchiere mezzo pieno (neppure se fosse quello dello spritz).
Capita ogni tanto ad ognuno di noi di aver per un certo lasso di tempo una consapevolezza di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti che dona al nostro vivere la serenità della maturità: so quel che sono, fin dove mi posso spingere, cosa non posso fare... anche cosa non voglio fare (e questo è il maximum).
A me questo accade in genere dopo una furente discussione al termine della quale mi trovo costretta a fissare degli aut aut sia per me che per il mio interlocutore.
I giorni a seguire sono "solidi". Sì, mi viene proprio questa immagine: solidità. Certezza. Stabilità.
Dentro me è come se ciò che voglio assuma contorni più netti: "Io sono così". Posso sforzarmi di migliorare, di compiacere, di adattarmi... ma sino ad un certo punto.
Sino ad un determinato limite.
La mia esistenza, sino ad allora in bilico tra il dovere ed il volere, tra il dire ed il fare, in quei giorni è più semplice perché la forza della discussione, del confronto, del litigio hanno consentito al mio io più profondo di venir fuori senza filtri. Senza paure. Senza calcoli sulle conseguenze.
E, così facendo, si è delineato in modo più chiaro.
I miei passi si fanno più sicuri. Le mie scelte diventano più stabili. La mia immagine allo specchio diventa più accettabile.
...

Ma poi tutto torna come prima. Come se nulla di quel terremoto emotivo abbia lasciato qualche traccia.
E ogni cosa si fa più sfocata. Incerta, pesante e difficile.
E il cibo diventa il mio rifugio.